Ecco l’ultimo mio articolo pubblicato su Bolina

La Galite

Area di sosta in mezzo al Mediterraneo

Settembre è un mese stupendo per navigare in Mediterraneo, anche se per molti segna la fine dell’estate o quanto meno la fine delle vacanze estive; per noi settembre segna l’inizio della migrazione verso ovest, ovvero la navigazione verso i Caraibi, via Gibilterra e Canarie. La prima tratta solitamente ci porta dalla Grecia alle Baleari attraversando il canale di Sicilia, il canale di Sardegna e il mar di Sardegna.
Molte volte abbiamo navigato in queste acque e via via abbiamo cercato di approdare e conoscere le isole e le coste che vi si affacciano. Siracusa e Trapani in Sicilia sono entrate nei nostri cuori. Malta ci ha accolto varie volte proteggendoci dal Maestrale forte e dalle sciroccate; atterrare a La Valletta al tramonto, quando tutto si colora di rosso è un’emozione indimenticabile. Hammamet, col suo marina moderno e a buon prezzo, ci ha permesso di lasciare la barca per visitare non solo Tunisi e Sidi Bou Said, ma anche i resti di Cartagine, il museo di Tunisi coi suoi stupendi mosaici romani e la città romana di Douqqa, abbandonata in epoca bizantina e per questo giunta fino ai nostri giorni quasi intatta. La Sardegna con Cagliari, Capo Teulada, San Pietro e Sant’Antioco non hanno bisogno di molte presentazioni.
Nel nostro peregrinare varie volte eravamo invece passati al largo de La Galite, un piccolo arcipelago 30 mg a nord di Tabarka, senza però potervi mai approdare. Da quanto avevamo letto sui portolani, sapevamo che l’isola è una base militare dove, previo permesso della guarnigione di stanza, è permesso pernottare pur senza sbrigare le pratiche di ingresso in Tunisia. L’arcipelago è completato da Le Galiton de l’est e le Galiton del ‘Oueste, un isolotto aspro e montagnoso i cui unici abitanti sono i guardiani del faro e del semaforo, ed infine da una serie di scogli che circondano l’isola maggiore. Dalle descrizioni degli amici che già avevano fatto sosta qua, sapevamo che è una meta interessante, nonostante, vista la natura militare dell’isola, ci sia il divieto assoluto di mettere piede a terra. Quando questo settembre ci siamo trovati a passare vicino alla Galite, dato che il meteo prevedeva maestrale in rinforzo proprio in coincidenza col nostro passaggio in quell’area, invece di riparare a Bizerte o a Tabarka abbiamo deciso di fermarci nella baia a sud dell’isola maggiore dell’arcipelago, la quale offre un ottimo ridosso dal maestrale teso che avrebbe soffiato per almeno tre giorni.
Come spesso ci accade, nonostante tutti i calcoli per evitare l’atterraggio notturno, soprattutto in luoghi che non conosciamo, siamo arrivati a La Galite a notte fonda, complice un ponente più teso del previsto e un po’ di corrente a sfavore. In avvicinamento abbiamo visualizzato sull’AIS una nave di nome “Flash”a ridosso dell’isola che riportava un ETA su Taranto agli inizi di giugno, questa anomalia ha inizialmente richiamato la nostra l’attenzione ma, essendo ormai quasi in fase di approdo, siamo tornati ai nostri impegni. L’avvicinamento infatti non si presentava semplice: procedendo verso l’isola abbiamo scorto cinque luci lampeggianti, tutte con le stesse caratteristiche luminose, ma nessuna delle quali presenti sulla carta nautica e sul portolano; dopo il primo momento di disorientamento ci siamo fatti coraggio e con l’ausilio di plotter, radar e soprattutto con gli occhi ben aperti e motore al minimo ci siamo avvicinati a costa, dove abbiamo tranquillamente dato fondo in 10 m di acqua. Unica preoccupazione, non abbiamo ricevuto nessuna risposta alle nostre chiamate sul VHF dalla guarnigione militare. Accertati che l’ancora avesse fatto presa, abbiamo acceso le luci delle crocette per illuminare la barca e far capire ai militari che venivamo in pace. Essendo ormai le tre di notte ho deciso di mandare a letto l’equipaggio e sono rimasto sveglio per poter rispondere prontamente ad un’eventuale chiamata della Garde Nationale o della Marina Tunisina, entrambe di stanza sull’isola, ma nel corso della nottata nessuno ci ha contattato o risposto alle mie ulteriori chiamate.
All’alba, oltre a distinguere ben tre pescherecci ammassati nel piccolo porticciolo, mi rendo conto che tre delle cinque luci lampeggianti sono posizionate a terra, due rispettivamente all’estremità della baia, una più o meno al centro; le due rimanenti, posizionate in acqua, segnalano la presenza della boa destinata all’ormeggio delle navi militari. Inoltre sulla riva scorgo diverse tende da campeggio, noto anche che qualcuno si stava già muovendo sull’isola, senza però manifestare alcun interesse nei nostri riguardi. Curioso ho continuato a scrutare la riva e le zone circostanti, notando lo sventolio delle bandiere tunisine su due degli edifici posti più in alto, particolare che mi ha indotto ad immaginare che le due vecchie case fossero in realtà le “caserme”; a parte però qualche panno steso, non si vedeva anima viva. L’isola è a forma di balena, per la maggior parte le coste sono scoscese, la terra è scura e coperta dalla macchia mediterranea. Sui versanti meno esposti al vento si notano anche dei terrazzamenti abbandonati da decenni ormai e su cui la vegetazione spontanea ha ripreso il sopravvento. Sulla sella centrale più pianeggiante ci sono olivi e mandorli. Le poche case sono sparse sulla costa sud che si affaccia sulla baia dove siamo ancorati, intonacate di un bianco accecante con infissi azzurri, i tipici colori delle case del Mediterraneo meridionale. Il primo giorno lo passiamo un po’ a riposarci un po’ a cercare di capire le dinamiche delle persone che si vedono finalmente muovere sull’isola, ma senza molto successo. Intanto nel pomeriggio il maestrale, come da previsione, inizia a montare deciso e al tramonto il vento catabatico che scende dalle montagne si fa impetuoso, le raffiche passano i 40 nodi e scendono da direzioni diverse, colpendo Creuza de mä quasi sempre al traverso. Anche questa sarà una notte di guardia, l’ancora tiene, ma meglio vigilare.
La mattina seguente il maestrale si mantiene gagliardo, ma il fatto che l’ancora abbia tenuto alle raffiche della notte precedente ci tranquillizza. Piccoli lavoretti, manutenzioni, sonnellini, panificare pane e pizza per la cena sono le uniche note degne della giornata. Passiamo una serata serena, con il vento che ancora sibila nella baia, ma ormai sicuri dell’ancoraggio, per la prima volta da quando siamo salpati da Zante, possiamo riposare tranquilli.
Il terzo giorno il vento è decisamente calato, ma fuori col binocolo si vedono le onde frangersi su Le Galiton; decidiamo che sia meglio aspettare prima di rimettersi in mare, anche il bollettino e i G.R.I.B. file ci consigliano di non affrettare i tempi. Poco prima di pranzo sentiamo da fuori un “bonjour”, prontamente usciamo in coperta ma non scorgiamo nessuno, strano poiché non siamo così vicini a costa da distinguere in modo chiaro una voce proveniente da terra. Mentre sto ritornando sottocoperta il “bonjour” si ripete; questa volta mi affaccio fuoribordo e scorgo subito un giovane con un giubbotto di salvataggio che arranca controcorrente sotto la poppa di Creuza de mä. Prontamente gli lancio una cima per trascinarlo a murata, dove si trova la scaletta. Il ragazzo si arrampica a bordo, ci dice di essere della Garde Nationale e ci chiede se abbiamo bisogno di qualcosa, iniziando a comunicare in modo amichevole mescolando un po’ di francese ed un po’ di inglese a qualche parola di italiano. Elyassmine, così si chiama il giovane militare, è curioso di vedere l’interno della barca; gli faccio strada e gli chiedo se vuole fermarsi a pranzo con noi. Rifiuta dicendo che mangerà col suo compagno e da ciò apprendiamo che in una delle vecchie case ci sono solo due militi della Garde Nationale e che nell’altra casa con la bandiera ci sono 5 militi della Marina, età media 23 anni. Gli chiedo se è possibile scendere a terra per visitare l’isola e dopo poco abbiamo un appuntamento fissato per il pomeriggio per fare un giro con lui ed un suo compagno a farci da guida. Mettiamo in acqua il tender per evitare a Elyassmine la nuotata fino alla riva e mangiamo, felici di poter esplorare quest’ isola che tanto ci attrae e ci incuriosisce. Il pomeriggio scorre veloce camminando per quasi tre ore su e giù per i vari versanti e su sentieri più o meno agibili per giungere infine sulla scogliera nord di Galite, a picco sul mare e con una vista che ci toglie il fiato. Le nostre guide ci raccontano come l’isola sia stata abitata da una mezza dozzina di famiglie italiane fino agli anni cinquanta. Ci portano a vedere il cimitero degli italiani, dove rimane ancora qualche lapide con nomi e date. Ci raccontano pure che quest’anno è venuto un signore da Ponza a rendere omaggio a una tomba di un suo parente. Questa piccola comunità di italiani oltre alle case e alle rimesse per le barche aveva anche una scuola e una chiesetta composta da una sola navata. Un tempo l’edificio religioso possedeva una piccola vela campanaria, la quale, dopo la partenza degli italiani, è stata abbattuta e la chiesetta stessa è stata adibita ad altri scopi; la sua funzione originale rimane però ancor oggi ben riconoscibile non solo dalla forma architettonica, ma anche dalla posizione rialzata e dall’orientamento est ovest dell’edificio. Strada camminando apprendiamo anche che La Galite è stata per due anni luogo d’esilio di Habib Bourguiba, il quale vi visse forzatamente prima di diventare il più amato presidente dei tunisini.
Le nostre guide ci spiegano che i loro turni sono di un mese sull’isola e un mese sulla terra ferma, che la vita sull’isola è monotona e che soprattutto d’inverno la televisione è l’unico diversivo alla giornata.
Quando gli chiedo se spesso le grandi navi come Flash si ridossano a La Galite scopriamo l’arcano dell’ETA sbagliato sull’AIS. I due giovani militari ci spiegano che la nave due anni prima, navigando con pilota automatico e equipaggio non vigile, è andata a sbattere su uno scoglio a nord dell’arcipelago. Un rimorchiatore è riuscito a portarla a ridosso dell’isola ed una squadra specializzata ne ha evitato l’affondamento. Da oltre due anni la nave è ancorata là e a bordo si alternano sette membri di equipaggio per vigilare e forse aspettare di poter riprendere il mare.
Poco prima del tramonto ci ritroviamo al piccolo porticciolo davanti al nostro tender, invito le nostre guide a bordo per un aperitivo, contenti accettano e a bordo, davanti ad un po’ di patatine e olive, continuiamo a parlare piacevolmente. Ci dicono che dopo la rivoluzione che c’è stata in Tunisia poche barche si fermano a La Galite, per questo ci chiedono di dire ai nostri amici velisti di andare a visitare l’isola, poiché a loro fa piacere incontrare nuove persone e potergli mostrare la “loro” isola, di cui vanno estremamente fieri, nonostante anche per loro sia quasi un luogo di confino per sei mesi l’anno! Alla fine, dopo esserci scambiati indirizzi e-mail e promesse di rimanere in contatto, li riaccompagno a terra e ci salutiamo.
Prima dell’alba l’ancora è già salpata e scivoliamo via veloci in un mare ormai calmo verso ovest nord-ovest. Il sole sorgendo ci regala l’ultima siluette de La Galite e delle isolette che la circondano. Un’altra piacevole scoperta di questo Mediterraneo così ricco di sorprese.

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